L’anima, la fedeltà e il tempo sprecato a rincorrersi
L'anima smarrita, TopiPittori 2018
di Olga Tokarczuk (Autore), Joanna Concejo (Illustratore), Raffaella Belletti (Traduttore)
Possedevo questo libro da tempo. Stava lì, tra altri titoli scelti con cura, libri della memoria e della visione, come li chiamo io. L’avevo letto tante volte, lo scorso ottobre l’ho persino regalato a una cara amica per il suo compleanno. È un libro illustrato, certo, ma mai come in questo caso si ha la sensazione che parli più agli adulti che ai bambini. Perché questo libro non è solo un racconto: è una domanda che pesa, un invito scomodo.
Eppure, non ne avevo mai scritto prima. Rimandavo. Come si rimandano certe domande che non vogliamo farci, perché intuiamo che le risposte potrebbero farci male. Ecco, vi avverto: questo libro fa male.
Poi, qualche tempo fa, scorrendo un reel su Instagram, mi è arrivata addosso la voce di Marcello Mastroianni in 8½:
“Tu saresti capace (…) di scegliere una cosa, una cosa sola e essere fedele a quella, riuscire a farla diventare la ragione della tua vita (…) una cosa che diventi tutto proprio perché è la tua fedeltà che la fa diventare infinita, saresti capace?”
Ecco, ho pensato. A cosa siamo fedeli? Alla corsa quotidiana? Alle scadenze? Alle illusioni di controllo? O a qualcosa di più profondo, di più nostro?
Così mi è tornata in mente L’anima smarrita di Olga Tokarczuk e Joanna Concejo. Un libro che non è solo una storia, ma una ferita.
Anime lente in corpi veloci
L’inizio è un respiro ampio: illustrazioni in doppia pagina, una visione dall’alto. Un parco d’inverno, figure che pattinano, passeggiano, lasciano impronte leggere sulla neve. Sfogliando, l’inquadratura si stringe, ci avviciniamo, entriamo nella trama della vita. Ancora nessuna parola: solo la lente-matita della Concejo, il cui segno mi ricorda un’altra grande donna, Emily Dickinson.
Se una poesia della Dickinson fosse disegnata e non scritta, avrebbe la veste sartoriale della Concejo, ne sono certa.
“Had I not seen the Sun
I could have borne the shade
But Light a newer Wilderness
My Wilderness has made”
— Emily Dickinson
Ma torniamo al libro. Lui, l’uomo che vedete qui, è Jan.
Jan lavora sodo, corre, fa tutto come si deve fare. Ma senza accorgersene, ha lasciato indietro la sua anima. È rimasta chissà dove, spaesata, smarrita. Lui, nel frattempo, “funziona”: lavora, guida, gioca addirittura a tennis. Va avanti.
Finché una notte si sveglia in una stanza d’albergo e non sa più chi è. Il nome gli sfugge, le città si assomigliano tutte, la sua esistenza è diventata un foglio a quadretti, una geometria piatta e ripetitiva. Forse è così che ci si accorge di aver perso qualcosa di essenziale: con un’assenza. Un silenzio che ti si avvolge intorno.
Jan, allora, va da una dottoressa saggia, che gli dice ciò che nessuno vuole sentirsi dire: le anime si muovono più lentamente dei corpi.
E allora eccoci qui, noi e il nostro affanno. Sempre di corsa, sempre proiettati al domani, lasciandoci alle spalle pezzi di vita, di verità, di noi stessi. Ma senza accorgercene, perché la società ci insegna che andare avanti è l’unica direzione possibile. Come il Bianconiglio di Carroll, con l’orologio in mano e il fiato corto, ripetiamo a noi stessi che siamo in ritardo, sempre in ritardo, senza sapere più per cosa.
Ed è così che il tempo ci divora. Lo scriveva anche T.S. Eliot in The Waste Land:
“I can connect nothing with nothing.”
Viviamo in un’epoca fatta di voci sovrapposte, di orologi che ticchettano in una stanza vuota, di uomini e donne che si parlano senza mai capirsi davvero. E di anime che si perdono. Anime che, come quella di Jan, smettono di restare fedeli a sé stesse.
Aspettare è un gesto
L’unico rimedio è il più spaventoso: fermarsi. Non trovare soluzioni, non colmare il vuoto con “tutto”, ma aspettare. Jan si ritira in una piccola casa, ai margini della città. Si siede e aspetta. Aspetta giorni, settimane, mesi. Gli crescono i capelli, la barba gli arriva alla cintola.
L’attesa è dura. Fermarsi significa fare i conti con il vuoto, con la nostalgia, con il desiderio. Significa smettere di riempire il tempo e imparare ad abitarlo. Il libro interrompe, qui, le parole e lascia parlare le immagini. La Concejo alterna la visione del tragitto dell’anima di Jan alla sua attesa. Le sue illustrazioni sono poesia visiva: matite che sembrano fotografie, ombre che raccontano la luce, dettagli nascosti che aspettano di essere scoperti. Un mondo sospeso, fatto di tempo denso, di sguardi silenziosi.
Poi, un pomeriggio, qualcuno bussa alla porta di Jan. È la sua anima. Sporca, graffiata, ma finalmente arrivata. E Jan ha imparato. Seppellisce gli orologi e le valigie, simboli della sua corsa cieca. E la natura lo ripaga: dagli orologi spuntano fiori, dalle valigie nascono zucche. Il tempo non è più una prigione, ma una terra fertile.
Pulsa tra le pagine di questa storia la psicologia del profondo.
Carl Jung parlava del processo di individuazione: il lungo, necessario viaggio verso ciò che siamo davvero. Jan ha vissuto anni nella frammentazione, senza accorgersi di essere un uomo a metà. Eppure, ognuno di noi nasce con un’immagine interiore che lo guida. Forse è la società – e quindi noi stessi – a portarci a tradirla. Ci riempiamo di doveri, di impegni, di aspettative, perdendo il contatto con quella parte di noi che sa, che sente, che riconosce la strada.
Solo l’accettazione del tempo necessario all’attesa crea un terreno fertile per la maturazione della persona. Non lo dico io, ma Carl Rogers: il cambiamento accade solo se lo lasciamo maturare, se smettiamo di controllare tutto.
Jan si ferma, e l’anima lo raggiunge. Forse la vera fedeltà di cui scrivevo all’inizio di questo mio pezzo è proprio qui. Non è una fedeltà a un lavoro, a un ruolo. Ma alla nostra anima. Alla nostra verità.
L’anima smarrita non è solo un racconto poetico, è un’esperienza. È un libro che chiede di essere letto con lentezza, che si insinua nella mente e nel cuore come una domanda necessaria. E forse anche noi, come Jan, dovremmo seppellire i nostri orologi. Smettere di correre. E aspettare. Perché là fuori, nel rumore del mondo, la nostra anima potrebbe essere ancora in cammino per raggiungerci.
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L’anima smarrita, scritto dalla Premio Nobel per la Letteratura Olga Tokarczuk e illustrato da Joanna Concejo, ha ricevuto diversi riconoscimenti prestigiosi. Nel 2018, ha ottenuto la Menzione Speciale al Bologna Ragazzi Award, uno dei più importanti premi internazionali dedicati alla letteratura per l’infanzia.